lunedì 31 marzo 2008

FLYING FROM THE NEST (remembering)

Appena sceso dall’aereo subito una ventata tiepida mi sorprese il viso, l’espressione della mia bocca e le pieghe della pelle intorno agli occhi quando si stringono.
Era il tramonto e le ombre che si proiettavano sull’asfalto della pista di atterraggio avevano tutte un contorno rossastro.

Quel vento, che mi percorreva il viso, usava una cortesia inaspettata nel setacciare l’epidermide che si concedeva a questo morbido e tiepido approccio con un mondo del tutto sconosciuto.
Nel rumore del trolley, che avanzava sincronicamente al mio passo, distinguevo un eco strano, un tremore, forse atteso, che colpiva duro il mio stomaco, il diaframma ed il ritmo del cuore.
Sussulti, dritti fin su in gola, mettevano in moto pensieri e domande che non potevano certo avere una precisa soluzione.

Era come se fuori quell’aeroporto i confini fossero sfumati, sbiaditi, miopi.
L’aeroporto di Santiago de Compostela: l’ultimo compromesso che la vita mi suggeriva, l’ultima cura usata ad un volatile prima di guardare oltre il nido, di farsi ipnotizzare dal vuoto e fare il primo passo.

Mi sentivo così, come un giovane uccello, sull’orlo del suo nido.

Respirai a pieni polmoni, imbracciai le valigie e feci il primo passo.
Spiegai le ali e mi librai in volo, incosciente di che forma avesse il mondo.
Curioso di che voce avessero le sue creature e se il cielo fosse veramente uguale, nelle forme e nei colori, a quel cielo che sempre guardai e imparai a memoria dal mio nido.

Di silenzio si vestirono le mie parole, i respiri, le emozioni.
Un silenzio che la vita necessita prima di manifestarsi nella sua dirompenza.
Quel silenzio che si vive un secondo prima che il feto esca dall’utero materno.
Quel silenzio che si fa dilaniare e martoriare dalla vita.

Indossavo solo questo e non avevo bisogno d’altro.


Fui svegliato dalle nenie di gabbiani che fluttuavano fuori la mia finestra che adesso si era colorata di una luce azzurro chiaro e lentigini dorate.

Iniziava il viaggio. Il sole ne era stato il sipario.

Svestii l’ora dell’attesa, riposi nel cassetto le sue vesti silenziose.
Parquè sotto i miei piedi nudi e odore di briosche calde e caffèlatte proveniente dalla cucina.

BuonGiorno, Galizia, buongiorno.

martedì 5 febbraio 2008

...Perchè esiste anche il Dolore da condividere, mia cara Espana

E' impressionante come certe notizie conservino una tale potenza anche quando arrivano da 1.800 km di distanza.
Quando il telefono ha inizato a squillare ero davanti al direttore creativo dell' agenzia pubblicitaria dove lavoro e, sentendolo vibrare nella tasca, ho come avuto una premonizione.
La voce di mia madre ha articolato e confermato la mia inconscia intuizione.
Te ne sei andata, Nonna.
L'hai fatto in silenzio, uno status che ti piaceva rompere con le tue canzoni popolari, con le tue provocazioni. Te ne sei andata nel sonno. Spero che il sogno che stessi facendo fosse quello ricorrente di ogni sera.
Perchè ora si, lo potrai rivivere. Ora si che potrai essere tra le braccia del tuo amato, del mio saggio e forte nonno.
E' stato un pugno dritto allo stomaco. Diritto e preciso, silenzioso, senza nessun sibilo nell'aria.
E' arrivato a ricordarmi che io non posso essere lì con te, che non posso portarti sulle spalle, che non posso vederti per l'ultima volta. Ricordo le ultime parole che ci scambiammo prima che io partissi per la mia ricerca in Spagna.
Con la tua voce tremante per la vecchiaia mi dicesti, "Mi raccomando, fai il bravo".
Io ti dissi lo stesso accarezzando le tue mani scarnite e consumate, appoggiando le mie guance contro le tue, ormai ossute e spigolose, ma riconoscendo sempre la morbidezza dei baci e delle carezze della mia infanzia.
Ricordo la tua fortezza d'animo, nei tuoi occhi e nei tuoi gesti la saggezza e l'abilità di chi è stata capace a portare avanti un esercito di figli, di nipoti, di nuore.
La tua abilità è solo pari a quella di un abile stratega.
Mi è difficile realizzare una tua assenza adesso.
Ho voglia di piangere, con lagrime di rabbia, di nostalgia e con lagrime di gioia. Ma...non so a quale natura dare la precedenza.
Penso che piangerò con tutte assieme o con nessuna.
Penso che lascerò cadere inchiostro al posto di lagrime, lascerò far sfogare questo cielo nero che mi sovrasta con la sua zavorra di perturbazione oceanica che si trascina dietro.
Ora che sono lontano da casa.
Ora che non posso abbracciare fisicamente nessuno che porti lo stesso bagaglio di ricordi che hai lasciato.

Oggi qui è l'ultimo giorno di carnevale.

Me ne resterò qui, nel mio appartamento spagnolo....perchè nessuna maschera potrà coprire tutto quello che mi porto dentro.

....Perchè esiste anche il Dolore da condividere in un viaggio, mia cara Loca Espana.

Ciao Nonna.

domenica 3 febbraio 2008

Loca Galicia

Hola a todos!
Vi scrivo dal mio appartamento spagnolo, con la cabeza un poco pesante, reduce da una notte loca! In tutta la Spagna, e quindi anche in Galizia, è periodo del carnaval!
"Ay, no ha que llorar, que la vida es un carnaval..." ancora risuona nella testa questa canzone che dettava il ritmo frenetico dei festeggiamenti e del mega trenino che percorreva gli stretti vicoli di una città vecchia illuminata fin dentro le viscere. Tamburi, chitarre, urla di gente ubriaca, travestimenti, gente sorridente e armoniosamente barcollante per le strade della città.
Una Spagna ubriaca di carnevale, di travestimenti e soprattutto di una prepotente e coinvolgente creatività.
Sembrava essere in una dimensione surreale, dove Minnie flirta con Superman, Shrek beve insieme a Spiderman e i Tre Porcellini corrono dietro una sfuggente Biancaneve. Cenerentola, intanto, perde l'ultima carrozza della mezzanotte e cammina scalza, barcollante anch'essa, con la mano in quella di un BobMarley troppo cresciuto. Intanto il Principe Azzurro, per annebiare la sua delusione, sta fumando cannabis con Dumbo.
"1...2...3....ehmm..4....5...6....4.....5....7.....ehmm..." Zio Paperone cerca di stabilire quanto denaro ha speso, contando i bicchieri degli shortini che coprono il bancone su cui pesantemente è disteso, conservando sempre un sorriso da ebete, che ogni volta rivolge ad una barista che ha lo sguardo perso, forse dietro a qualche possibilità sfuggitole dietro l'angolo del suo bar.
Ecco una squadra di Capuccetto Rosso tirate al lucido per la gran festa, che danzano e fischiano allegramente, ammiccando ad ogni ufficiale che in tenuta mimentica cerca, invano, di marciare.
Clowns dal trucco ormai sbiadito per il sudore delle note e per le leggere gocce di pioggia che vengono giù, in un pianto lento, innocente e disarmante. Un pianto che lava via tutti i malumori di questa strana storia di un carnevale. Un mondo a parte, che s' impone prepotente come cura di ogni malattia, come un grosso boccale di cerveza in cui affogare con i propri deliri repressi.

Allegria, note, alcool e pensieri che oggi è meglio ignorare.

Què loca esta Espana!